IL PAESE NELLA STORIA
Le origini di Pian di Castello risalgono al periodo medioevale. Le prime notizie, che testimoniano la sua esistenza, ci pervengono a partire dall'anno 1220. Dalle schede Garampi risulta che negli anni 1220 - 1223 la Chiesa di Rimini aveva diritti baronali in Plano Castelli. In un documento, datato 3 giugno 1220, si parla di un certo "Damiano de Plano Castelli che figura fra i presenti nell'atto di giuramento di cittadinanza alla città di Rimini fatto da Giurizio Urbinello da Monte Petorino avanti Giovanni Medaglia giudice e vicario di Guglielmo Amati podestà". Si ritorna a parlare di "Damiano de Plano Castelli nel giorno 24 dicembre 1228 quando è presente all'atto dei patti e convenzioni fra il Comune di Fiorenzuola, castello del pesarese e il Comune di Rimini". Notizie più dettagliate sul paese si hanno a partire dal 1231. "Quantunque (un anonimo Muratoriano) ci tramandi che Pian di Castello fu Rocca valde forte in monte planitioso cum la scarpa murada et torre et una porta et que se pol battere da doa banda cum dificoltà et periculo .... nessun resto ci indica la forma medioevale di questo Castello tanto aspramente conteso dai Montefeltro e i Malatesta. Invano, infatti, oggi si cercano gli avanzi del vecchio fortilizio che, sentinella avanzata e quasi solitaria, fu tante volte presa e tante volte perduta dalle due Signorie contendenti. Dai pochi ruderi nulla che riveli l'importanza di un avamposto che fu di vedetta e di difesa ad un tempo tra il monte e il piano. L'ex palazzo comunale, sorto su quelle ruine, ci conserva nei suoi muri avanzi di sassi e pietre tratti dalle vicine rocce, con accuratezza lavorati dagli artefici medioevali ed oggi riconciati e messi a nuovo. Tutto trapassa e si trasforma... Ivi scavando, secondo la tradizione, si rinvengono ruderi, grotte, camminamenti, aventi comunicazione con un tronco di torrione nel pendio del vicino monte, di dove si facevano le segnalazioni. Di questi avanzi, quasi del tutto scomparsi, ma che vorrebbero ancora parlare di fatti di cronaca comunale e signoriale di Pian di Castello, si conserva un mutilo e corroso stemma malatestiano, incastrato nella cantonata di una vecchia casa annerita dal tempo. Troppo poco, a dire il vero, per farci rivivere nell'immaginazione una Rocca ed un Castello scomparsi. Una volta la torre di Pian di Castello dov'è essere come un faro dominante le colline e le vallate circostanti e sottostanti. Dove essa fu, siamo attratti, più che dallo studio dei ricordi storici, dal desiderio di goderci il vasto panorama nel verde delle convalli del Conca e del Foglia e nella limpida luce dei tramonti. Non sappiamo se questa Rocca turrita facesse parte delle mentovate donazioni pipiniane ed ottoniane, siamo solo in grado di conoscere che nel 1231 castrum Plani Castelli era soggetto alla chiesa riminese, cui fu aspramente conteso tra il 1254 ed il 1279 dal Comune di Rimini nei confronti del vescovo Ambrogio. Ma fu il comune riminese che riuscì, poi, ad entrarne in possesso poiché in un istrumento del 23 ottobre 1279 così si legge: "item quod dicti Potestas, Capitaneus Populi, Consilium, et Comune Civit. Arim. Etc. habent tenent et possident Castrum de plano Castelli". Da un manoscritto, custodito presso la Biblioteca Universitaria di Urbino, risulta che il paese aveva un suo STEMMA MEDIOEVALE: in campo azzurro un castello medioevale con merlatura guelfa con il capo d'oro caricato di un pastorale ed una mitra, ad indicare la giurisdizione baronale che si diedero i vescovi riminesi. Nel 1371 dalla relazione del Cardinal Anglico apprendiamo che detto Castello aveva in quell'epoca venti fuochi (famiglie) e faceva parte con altri ventun Castelli del contado riminese dei Malatesta. Nella lunga guerra del 1459 - 62 Pian di Castello fu difeso strenuamente dai Malatesta assaliti da più parti dagli alleati di Pio II, ma subì gravissimi danni tanto da essere quasi totalmente distrutto. Nuovamente fabbricato, delle antiche opere militari di cui era munito serbò soltanto il fortino ed una torre. Con decreto del 16 febbraio 1464 il papa, che voleva disfarsi dei possedimenti malatestiani conquistati, lo cedette, con l'appellativo di Torre di Pian di Castello, unitamente ad altri castelli, rocche e città, a Federico conte del Montefeltro e duca d'Urbino Con questo atto termina la potenza di Sigismondo Malatesta che in un impeto d'ira brandendo la spada contro il rivale Federico aveva detto: "Te cavcrò le budella" e l'altro, che di rimando aveva risposto: " Io te caverò la corada a te", finisce per cavargli non solo la corada, ma anche le budella. Durante il periodo dei Borgia, per il nuovo ordinamento dello Stato della Chiesa, il paese fu aggregato di nuovo al territorio riminese e a questo rimase anche sotto le dominazioni successive. Infatti dalla relazione del Provveditore Veneto Malipiero Domenico sullo stato di Rimini nel dicembre del 1503 si ricava che durante la breve dominazione della Repubblica di S.Marco (dal 1503 al 1509) su Rimini e dintorni (cedutile da Pandolfo Malatesta dopo la caduta del governo di Cesare Borgia) anche i vari paesi feltreschi, posseduti qualche volta dai Malatesta, furono riuniti a Rimini col mero e misto imperio e con la totale osservanza della giurisdizione di questa città e delle sue leggi, statuti ed ordini. Tra questi paesi fu Pian di Castello sotto la podesteria di Montescudo. Che dopo la fine del dominio veneto in Romagna Pian di Castello continuasse a far parte ancora del Riminese lo deduciamo pure dal silenzio del verseggiatore cinquecentista di Macerata, che non lo ricorda nei suoi distici latini sui castelli feretrani, mentre, invece, parla di Montealtavelio e di Ripalta, ex frazioni di detta comunità. E' opportuno ricordare che, dopo la devoluzione del Ducato di Urbino allo Stato della Chiesa (1631), le Terre, Castelli e Ville della Provincia Feretrana avevano conservata intatta la loro autonomia legislativa. Gruppi più o meno numerosi di comunità continuarono ad essere soggette nel "politico" e nel "giudiziario" a Jusdicienti (Vicari o Podestà) il cui ufficio aveva sede nelle comunità principali. Nel 1814, dopo la parentesi francese, ai mutamenti circoscrizionali amministrativi che portarono ad un riassetto del quadro territoriale dello Stato Pontificio, seguì anche nella suddetta zona feretrana il ripristino dell'antica ripartizione territoriale che si modificò, poi, ripetutamente negli anni successivi. Il 6 luglio 1816 il riparto territoriale, seguito al Motu Proprio di Pio VII, aggregò Pian di Castello al comune di Tavoleto. L'aggregazione, tuttavia, durò pochissimo: infatti, con l'Editto della Segreteria di Stato del 26 novembre 1817 Pian di Castello venne tolto a Tavoleto e fu annesso al comune di Macerata Feltria. In quegli anni, per effetto di tali mutamenti circoscrizionali, alcuni comuni storici dell'antica Provincia Feretrana vennero soppressi, altri furono istituiti ex novo. Il riparto, stabilito dal Motu Proprio di Leone XII del 21 dicembre 1827, fissò un assetto amministrativo del territorio che, nelle sue grandi linee e con poche eccezioni, si è tramandato fino a noi e diede origine anche al comune di Pian di Castello, che allora contava una popolazione di 204 abitanti. A questo vennero appodiati Montealtavelio (183 ab.) e Ripalta (97 ab.), località sottratte rispettivamente ai comuni di Macerata Feltria e Montegrimano. Nel 1850 i comuni di Pian di Castello, Montegrimano e Sassofeltrio appartenevano al Governo di S. Leo. Nel 1860, con l'Unità d'Italia, il paese ottenne autonomia amministrativa pur continuando ad essere appodiato di Tavoleto fino al 1868. Secondo il censimento del 1861 la sua popolazione di fatto era composta da 681 abitanti, mentre quella di diritto era di 752 abitanti. La sua guardia nazionale era formata da una compagnia di cinquantuno militi attivi, mentre gli elettori amministrativi erano trenta, quattro i politici iscritti al collegio di Urbino. Per rispondere alle esigenze della popolazione le amministrazioni, che si succedettero nel tempo, con una serie di provvedimenti mirati diedero origine ad un sensibile sviluppo e miglioramento delle condizioni socio - ambientali del paese. Con decreto del 21 marzo 1929, su pressione della cittadinanza mercatinese, la sede del Comune di Pian di Castello viene trasferita a Mercatino Conca. Questa data rappresenta l'inizio di un lento ma inesorabile declino del paese che conserva la denominazione di comune fino al 1940, anno in cui cessa a tutti gli effetti di esistere come entità comunale dopo aver operato per più di un secolo. Sono quelli anni difficili, anni di regime, anni di guerra. Il paese o meglio il palazzo, prima sede di municipio, non è più luogo di vita amministrativa, di incontri.... e di scontri fra uomini di ideologie diverse, spesso "purgati" con olio di ricino o messi a tacere con manganellate. Ma, come nell'Italia tutta, anche qui c'è chi soffre e piange per la libertà perduta, c'è chi marcia vestito da "piccola italiana", da "balilla", da "camicia nera" e c'è chi con tutto il cuore offre l'oro per la grandezza della Patria, impegnata in una lunga e disastrosa guerra. La Linea Gotica ha qui uno dei suoi capisaldi ed il rombo del cannone diventa sempre più minaccioso. La gente spaventata cerca rifugio nelle grotte e, mentre nel buio delle cantine i "partigiani della pace" tramano silenziosi, sulle strade bianche e tortuose passano i militi della Repubblica Sociale, i tedeschi della 276° Divisione Fanteria, i Carristi della 1° Divisione Inglese e la IV° Divisione Indiana. Quando tutto finisce, Pian di Castello conta i suoi morti: 5 fra i soldati impegnati sui vari fronti di guerra, 7 fra i civili. Un tributo di vite umane troppo alto per questa piccola comunità. Gli anni successivi al secondo conflitto mondiale sono gli anni della ricostruzione lenta, ma intensa, sia in campo politico che economico, a livello nazionale e locale. Il 2 giugno 1946 il popolo italiano con un referendum istituzionale viene chiamato a scegliere fra Monarchia e Repubblica. Per la prima volta in Italia votano anche le donne. Il Paese sceglie la Repubblica con 12.717.923 voti contro i 10.719.284 dati alla Monarchia ed il voto nazionale rispecchia quello degli elettori della frazione. La bandiera cambia volto. In mezzo non ha più lo stemma sabaudo con corona, ma rami di quercia, di alloro, una stella, una ruota dentata, simboli di forza, di trionfo, di progresso, di civiltà. Nell'autunno dello stesso anno si svolgono nel comune le elezioni comunali per dare un nuovo volto all'amministrazione. L'opera di ricostruzione, iniziata nell'immediato dopoguerra con i pacchi UNRA assegnati alle famiglie più bisognose, si realizza con i fondi dati per risarcire i danni di guerra che permettono la ricostruzione del paese danneggiato dai bombardamenti. È di moda il cemento e sotto una coltre grigia scompaiono i sassi e le pietre che caratterizzavano le case del vecchio borgo medioevale. Con lo stesso sistema si ristruttura anche l'ex palazzo comunale, costruito nel 1904 con i sassi dell'antico castello "con accuratezza lavorati". All'interno i vecchi mattoni di cotto cedono il posto alle più moderne mattonelle di graniglia. Nel 1948 iniziano i lavori di ricostruzione della chiesa secondo un progetto in uso al tempo, un po' dovunque, nella zona. Una chiesa di stile lineare su cui domina alto il campanile. Nel 1949 il Ministero dei Lavori Pubblici finanzia la costruzione di un ponte sul Conca, in località Molino Renzini. Ora il fiume non si attraversa più solo a piedi su di una passerella o a guado nei giorni di fiumana, ma anche comodamente seduti in carrozza o in balilla. Nel 1952 arriva finalmente la luce elettrica che dà vita al paese, apre orizzonti nuovi con la radio, ma soprattutto con la televisione. Molte persone, anche dei paesi vicini situati in posizione meno favorevole a captare il segnale delle antenne sul Monte Nerone, affollano i locali della parrocchia che gentilmente mette a disposizione il nuovo mass - media. Nello stesso anno viene costruito l'acquedotto che dal Fosso porta l'acqua sul Monte, dal Monte l'acqua scende nelle case, alleggerisce la fatica delle donne e rende finalmente igieniche le abitazioni. Sempre nel 1952 viene costruita la mura che nasconde per sempre gli speroni dell'antica mura a scarpa di epoca medioevale che formava il Torricino. Negli anni 50-60, in conseguenza della grave crisi dell'agricoltura, in paese si verifica un forte calo demografico per l'esodo di molte famiglie in cerca di miglior fortuna nelle località della vicina costa romagnola. A risentirne è soprattutto il Castello che si spopola. Nelle case sparse nella campagna, abitate da coltivatori diretti, invece, la vita continua con il ritmo di sempre. A metà degli anni '60 viene istituito un servizio pubblico di trasporto con linea MERCATINO C. - PIAN DI CASTELLO - MORCIANO DI ROMAGNA. Esso, con coincidenze varie, collega il paese con i centri più importanti della costa, ma ha vita breve. Si preferisce dirottare ed utilizzare le autorizzazioni della motorizzazione civile altrove. Intorno agli anni '70, dopo un secolo di vita, chiude i battenti anche la scuola per mancanza del numero legale degli alunni, si riapre qualche anno dopo, si richiude ancora. A metà degli anni '80, invece, sembra risolversi l'annoso e spinoso problema della viabilità. Le strade comunali e provinciali, che collegano la frazione al capoluogo ed ai vicini centri, vengono asfaltate. Sembra un sogno, ma dura poco, perché in pochi anni il manto si deteriora e le strade ritornano ad essere molto dissestate. La vecchia strada, che porta a Molino Renzini, ora è addirittura intransitabile anche se è percorsa più volte al giorno da chi va al lavoro nei centri della Valle del Conca. È la più breve e nella corsa col tempo si preferisce all'altra che sale, scende, s'allunga. In paese, alle soglie del terzo millennio, di tutti i servizi sociali faticosamente ottenuti nel corso della sua storia restano solo l'ambulatorio comunale settimanale e l'ufficio postale, aperto al pubblico tre giorni alla settimana.