LE TRADIZIONI
Le tradizioni sono quasi tutte legate al calendario liturgico ed ai periodi dell'anno di maggior spensieratezza.
Sant'Antonio
Il giorno in cui si festeggia Sant'Antonio Abate, protettore degli animali, in paese anche oggi è una gran festa non solo religiosa. Dopo le funzioni e la benedizione del bestiame, schierato nel piazzale della chiesa, usa entrare in canonica per mangiare tutti insieme pane benedetto, salsiccia e bere un po' di vino. Chi è assente, riceve a casa questi doni, con il pane benedetto per gli animali ed un'immagine del santo per la protezione delle stalle. L'usanza, legata al mondo dei campi, ricorda tempi di fame e di miseria, quando c'era chi aspettava questo giorno per sentire odore di salsiccia e bere un buon bicchiere di vino. La festa spesso finiva con solenne sbronza e faticoso ritorno a casa.
Il "cigolo"
La più divertente tradizione è legata al tempo di carnevale. Il giovedì grasso è giorno di maschere e di "cigolo" o pancetta. Dai paesi vicini arriva una lunga fila di giovani mascherati, quasi tutti indossano abiti, trucco e .... finti attributi femminili. Li guida un suonatore di organetto, segue un pagliaccio portatore di spiedo con infilzati lardelli, pezzi di pancetta e di salsiccia, viene il terzo con canestro per le uova. Il corteo finisce con il coro che urla, schiamazza, canta, ride e, bussando ad ogni porta per il "cigolo", dice questa filastrocca:
Cigle, cigle, mascherina. Dem un ov o 'na galina. La galina l'an mi basta. Dem un ov e 'na pulastra. E in risposta: La pulastra l'è la mia! Cigle, cigle, vatne via!
La gallina o la pollastra, come si capisce bene dalla risposta, non la dà nessuno. La sera i mattacchioni devono così accontentarsi di mangiare solo una frittata con salsiccia e pancetta. È una bella tradizione che continua nei paesi dove ci sono bambini spiritosi, che non si vergognano di bussare alle porte per avere qualche monetina, ma soprattutto per conservare la memoria di una simpatica usanza.
I fuochi
I fuochi, chiamati anche falò e nella vicina Romagna "fogheracce", sono una tradizione che precede alcune festività cristiane. Essa ha, però, origini pagane molto lontane nel tempo. Ne parla anche Ovidio, poeta vissuto al tempo dell'antica Roma. È un'usanza molto diffusa nel Medioevo e continua ancora oggi in un'area geografica molto vasta. Secondo la teoria solare i fuochi che coincidono con gli equinozi ed i solstizi rappresentano un incantesimo del sole che assicura luce e calore. Per altre teorie essi simboleggiano la sopravvivenza del culto del fuoco, diffuso anticamente in molti Paesi. Secondo la teoria purificatrice, coincidendo con l'inizio e la fine di cicli stagionali, essi hanno la funzione di purificare uomini e cose dalle colpe passate, per iniziare un nuovo periodo rinnovati nello spirito. In paese si accendono nella ricorrenza della festa di San Giuseppe, dell'Annunciazione, a ferragosto per l'Assunzione, in dicembre per l'Immacolata Concezione. Il giorno della vigilia della festa i bambini fanno provvista di legna, di paglia, di cartacce, di vecchi pneumatici. La sera, dopo il tramonto, si accende il fuoco. Arde fino a tardi fra canti e salti dei più coraggiosi in mezzo ad alte fiamme e nuvole di fumo, che lente salgono ad offuscare l'aria, mentre la terra intorno si accende di luci come cielo trapunto di stelle.
Le uova colorate
A Pasqua usa colorare le uova che vengono benedette dal parroco, in visita alle famiglie per la benedizione pasquale. Esse sono simbolo di nuova vita. Con pastelli colorati i più bravi in famiglia dimostrano il loro talento artistico disegnando sul guscio rami di mandorlo, pulcini, prati verdi e fiori. Le uova si mangiano la mattina di Pasqua, a colazione, insieme ad una fetta di pane e di salame. Una volta era un mangiare da re e da indigestione, perchè c'era chi ne mangiava più di dieci. Nel periodo pasquale usava mangiare anche la "crescia", un dolce conosciuto oggi con il nome di pagnotta. Se ne preparava una per ogni componente della famiglia, per evitare imparzialità nel suo consumo. Si facevano anche i "bracciatelli", biscotti poco zuccherati lunghi come braccio.
Il maggio
Il maggio è una tradizione molto bella e galante, famosissima in Toscana con il nome di Calendimaggio. Nel cuore della notte della vigilia del primo giorno di maggio i giovani del paese appendono alla porta di casa delle ragazze un ramoscello di maggiociondolo in fiore nel mese. Per le ragazze è sempre una gradita sorpresa svegliarsi l'indomani e trovare l'omaggio floreale, specialmente se non si sa chi è il donatore. Si incomincia allora ad indagare e prima o poi si scopre chi ne è stato l'autore. Si gioisce maggiormente se egli fa parte dei tuoi sogni. È un'usanza che in paese, purtroppo, sta perdendosi, non per mancanza di galanteria, ma di gioventù. Nella stessa notte continua, invece, l'usanza dei dispetti. Sparisce di tutto: l'automobile, il motorino, gli attrezzi da lavoro, persino le panchine. Si ritrovano, dopo molte ricerche, lontano da casa, sugli alberi, nei boschi, nei pozzi, lungo i sentieri di campagna. È facile risalire agli autori, ma non succede nulla, perché tutti accettano lo scherzo.
La notte delle streghe
La notte di San Giovanni, che cade il 24 giugno, è la notte delle streghe, un'usanza simile alla notte di Halloween, negli Stati Uniti d'America. In paese non s'indossano e non s'illuminano zucche per sembrare fantasmi vaganti nella notte per atterrire i passanti. A mezzanotte in punto le streghe danno appuntamento ai crocicchi delle strade e, chi ama il brivido, le vede arrivare puntuali all'ora stabilita. Basta presentarsi, meglio se in compagnia di amici, muniti di un ramo biforcuto di fico, tenuto fisso sotto il mento. È passata alla cronaca locale una notte degli anni '50. In paese era arrivato da poco un signore di una certa età. Con molta insistenza venne convinto ad assistere all'incontro. Nascosti dietro una siepe, con i rami d'obbligo sotto il mento, a mezzanotte in punto, nel silenzio più assoluto, gli spettatori sentono levarsi nell'aria lo scalpitare di un cavallo e vedono sfrecciare , come fantasma, una strega avvolta in un lenzuolo. Il malcapitato sta per svenire, si teme il peggio. Solo qualche giorno più tardi egli verrà a sapere che la strega altri non era che un baldo giovanotto del paese con la passione dei cavalli e del .... brivido altrui.
San Martino
Per San Martino è tradizione molto diffusa nella zona di trascorrere insieme ed in allegria la serata. Riuniti in una casa, si gioca a carte, si mangiano le castagne, si beve il vino nuovo. Una volta gli uomini festeggiavano la serata facendo il giro delle cantine del paese,. Solo i proprietari terrieri possedevano il vino ed in quel giorno si mostravano disponibili ad offrirne un bicchiere a chi bussava alla loro porta. La fila era sempre lunga. Chi lo beveva si leccava veramente i baffi, non solo perché il vino era buono, ma perché allora era una bevanda che non tutti potevano permettersi nella propria casa. Tutt'al più si beveva "l'acquadicc". Vagando di porta in porta si faceva il pieno, l'allegria cresceva di tono e diventava canto che si perdeva nella buia e fredda notte novembrina.
Il sermoncino
A Natale usa recitare il sermoncino davanti a Gesù Bambino. Ogni bambino ne impara uno, suggerito dal parroco o dalle maestre. Con il cuore che batte forte forte si sale il primo gradino dell'altare e, guardando Gesù Bambino posto in un bel tronetto dorato o nel presepe, ad un cenno del suggeritore si comincia. Il brusio cessa all'istante. La voce dei bimbi si alza timida, sale di tono, s'inceppa, riprende sicura e termina nell'applauso generale della platea, formata in prevalenza dalle mamme commosse dalle promesse di bontà, d'amore, di pace rivolte a tutta la famiglia. Come premio ogni bambino riceve caramelle e torroncini.